Nell’immaginario comune, il dolore è visto come un allarme oggettivo e affidabile: se fa male, allora qualcosa si è rotto, infiammato o danneggiato.
Ma in realtà, la questione è molto più complessa. Il dolore è reale, ma non sempre ci dice la verità sul corpo.
La neurofisiologia del dolore
Il dolore nasce come segnale di allerta: i nostri recettori rilevano uno stimolo (meccanico, chimico, termico) e lo inviano al sistema nervoso centrale dove viene elaborato, generando così la sensazione dolorosa. Ma questa elaborazione non è automatica né neutra, è influenzata da tutto ciò che fa parte del nostro sistema nervoso centrale: memorie, esperienze, contesto emotivo, convinzioni personali. Per esempio:
- Una persona con forte ansia può percepire dolori più intensi anche per piccoli stimoli.
- Un atleta abituato a sopportare stress fisici può non percepire dolore anche in presenza di lesioni significative.
- Il dolore da somatizzazione può nascere in assenza di danni fisici, ma da conflitti emotivi o situazioni stressanti.
Perché serve una valutazione globale?
Affidarsi solo al dolore per fare diagnosi può portare fuori strada. È fondamentale inquadrare il sintomo in una valutazione integrata, considerando lo stato del sistema muscolo-scheletrico, la storia clinica personale, la salute generale di tutto il corpo, i fattori psicologici ed emotivi, i comportamenti abituali e lo stile di vita.
Quando si prova dolore, è normale voler associare a quel dolore una causa precisa il prima possibile: l’idea di fondo è che riparando quel tessuto, il dolore cesserà. La realtà, però non è così semplice. Il dolore, dunque, non va negato, ma ascoltato con intelligenza. È una voce, ma non l’unica. È un punto di partenza, non la diagnosi. Richiede un approccio curioso e sistemico, che metta insieme mente e corpo, esperienze e abitudini.
Il dolore come linguaggio del corpo
Il dolore è una voce del corpo che ci chiede ascolto, ma va decifrato nel contesto più ampio della persona. Non possiamo trattarlo come un semplice segnale da “spegnere” con farmaci o tecniche rapide. Dobbiamo invece chiederci:
- Cosa vuole dirci questo dolore?
- Da quanto tempo è presente?
- In che momento della vita è comparso?
- Come si relaziona con le emozioni, le abitudini e lo stile di vita?
In osteopatia, ogni valutazione parte da una visione sistemica: osserviamo la persona nel suo insieme, cerchiamo correlazioni tra diverse aree del corpo e valutiamo come il sistema nervoso, muscolare, viscerale e fasciale stia collaborando o andando in conflitto. A questo, si può affiancare un approccio che cerchi di comprendere quanto il dolore sia influenzato da vissuti interiori, paure o tensioni emotive non elaborate.
Quando il dolore si cronicizza
Un dolore che persiste oltre il tempo fisiologico di guarigione può diventare un dolore cronico. In questi casi, non è più solo il tessuto danneggiato a far male, ma l’intero sistema nervoso è diventato ipersensibile. Il dolore diventa allora una memoria, una reazione appresa, talvolta disfunzionale.
Per interrompere questo ciclo, non basta “curare” il punto doloroso: bisogna rieducare il sistema nervoso, riequilibrare il corpo, affrontare gli aspetti emotivi e restituire alla persona il senso di controllo. Con un approccio integrato — osteopatico, somatico ed emotivo — possiamo davvero andare oltre il sintomo e accompagnare la persona in un percorso di consapevolezza e salute più profondo e duraturo.
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